Interventi – La politica dell'impegno. Anna Maria Mandillo e le biblioteche (di Luca Bellingeri)*

Interventi – La politica dell'impegno. Anna Maria Mandillo e le biblioteche (di Luca Bellingeri)*

 
Inizio 1986. Negli uffici dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico si svolge un incontro sindacale dedicato all’analisi ed alla valutazione dei profili professionali del personale dei ministeri, individuati dal d.P.R. n.1219/1984, ma entrati in vigore solo il 30 ottobre dell’anno successivo. Fresco vincitore di concorso presso la Scuola Superiore per la Pubblica Amministrazione, assegnato da pochi mesi alla Biblioteca Nazionale di Roma come bibliotecario, decido di parteciparvi per cercare di capire il mondo di cui ormai sono entrato a far parte. A condurre l’incontro, oltre ad alcuni esponenti di spicco della CGIL, una signora piccola e minuta, ancora giovane ma con i capelli già grigi, della quale al momento non conosco né il nome né l’esatto ruolo, ma della quale mi colpisce subito, oltre all’indubbio carisma, la precisione, competenza e padronanza con cui, al di fuori da ogni logica sindacale, affronta la questione da un punto di vista “professionale”, traducendo l’arida declaratoria dei profili in uno strumento utile per giungere finalmente all’esatta individuazione e quindi riconoscimento anche giuridico dell’attività del bibliotecario.

Estate 1998. Dopo circa quindici anni il Ministero per i Beni culturali bandisce finalmente un concorso per l’assunzione di alcune figure professionali, fra le quali anche quelle di bibliotecario e collaboratore bibliotecario. I bandi suscitano subito notevoli perplessità, sia per i contenuti delle prove d’esame previste, sia per i requisiti di ammissione richiesti, tanto che l’Associazione Italiana Biblioteche, del cui direttivo in quel momento faccio parte, decide di assumere una serie di iniziative per cercare di modificarne i contenuti. Fra le altre viene anche contattato un avvocato amministrativista per verificare la possibilità di impugnare il bando per quanti risultassero esclusi dal concorso per mancanza dei requisiti. A mettere ancora una volta a disposizione le sue conoscenze e la sua esperienza e ad accompagnarmi più volte in quello studio legale, nel tardo pomeriggio, al termine di un’intera giornata di lavoro e sottraendo tempo a marito e figlie, la stessa signora piccola e minuta conosciuta molti anni prima alla riunione sindacale.
Inverno 2005-2006. Dopo molti anni di battaglie, iniziative pubbliche, convegni e proposte di legge nell’aprile 2004 viene finalmente approvata una nuova legge sul deposito legale delle pubblicazioni, la cui formulazione “leggera” richiede però un successivo regolamento di attuazione per poter divenire pienamente operativa. A questo scopo presso l’Ufficio legislativo del Ministero viene costituita un’apposita Commissione, della quale con ruoli diversi facciamo parte entrambi, con il compito di predisporre il testo regolamentare. Per poter chiudere l’iter prima delle imminenti elezioni politiche, previste per il mese di aprile, improvvisamente i lavori subiscono però un’accelerazione che di fatto chiude anzitempo la discussione ed impedisce di sottoporre il testo, come sarebbe stato necessario, ad ulteriori approfondimenti. Lo sconforto è grande e quel risultato che sembrava ormai a portata di mano sembra improvvisamente svanire all’orizzonte, ma uscendo da una di queste riunioni, una delle più difficili nel corso della quale era emersa con chiarezza la volontà di concludere i lavori nel più breve tempo possibile nonostante le nostre obiezioni, la signora piccola e minuta con grande semplicità alla mia domanda su cosa avremmo potuto fare si limita a rispondere: “niente. Vorrà dire che da domani cominciamo a lavorare per cambiare questo regolamento!”.
Quella signora, apparentemente piccola e minuta, ma dotata di una grande forza d’animo e di un carattere fermo e deciso, era, lo si è capito, Anna Maria Mandillo, scomparsa troppo rapidamente lo scorso 15 giugno e i tre episodi qui ricordati possono forse aiutare a dare un’idea della ricchezza e molteplicità della sua figura e del ruolo da lei svolto per quasi un cinquantennio nel mondo delle nostre biblioteche.
Laureata in lettere, Anna Maria vince il concorso per bibliotecario nel 1964 e dall’anno successivo e per un quindicennio presta servizio presso la Biblioteca Nazionale Roma, dove diviene responsabile del settore accesso e collocazione delle pubblicazioni e successivamente delle sale di consultazione. Profondamente legata fin dai suoi esordi professionali ad Angela Vinay, conosciuta al suo ingresso in Nazionale, nel 1980 si trasferisce all’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, dove diviene capo laboratorio per le informazioni bibliografiche e, dal 1986, vice direttore dell’Istituto. Divenuta nel 1991 responsabile del Servizio generale di coordinamento, dal 2006 fino al pensionamento avvenuto nel 2007 dirige infine la Biblioteca Vallicelliana. Componente del Consiglio Nazionale dei Beni culturali in rappresentanza del personale tecnico-scientifico dal 1988 al 1992, ricopre numerosi incarichi all’interno dell’Associazione Italiana Biblioteche, della quale è stata socia fin dal 1966, e dell’Associazione Bianchi Bandinelli, della quale è stata vice presidente dal 2006 al 2014, oltre a far parte di numerosissime commissioni ministeriali.
Ma la descrizione della sua carriera professionale e degli incarichi svolti non sono sufficienti a rendere appieno la figura di questa collega, da sempre impegnata “politicamente”, nel senso più ampio e più alto del termine, a favore delle biblioteche, intese come insostituibile strumento di crescita civile e democratica del Paese. Meglio forse ci può riuscire la sua attività di studio, approfondimento, stimolo e proposta sui molti temi professionali ai quali, nel corso del tempo, si è dedicata, con un impegno che non è venuto mai meno, nemmeno nei suoi ultimi mesi, nonostante i pochi successi e le molte delusioni.
Alla base la sua ferma e incrollabile convinzione della necessità di giungere alla realizzazione di un vero sistema bibliotecario italiano, che,     attraverso la fondamentale cooperazione fra istituti di natura ed appartenenza amministrativa diverse, garantisse ai cittadini quei servizi di accesso all’informazione e alla conoscenza che rappresentano l’infrastruttura essenziale di ogni moderna società civile. Da qui l’insistenza perché si giungesse finalmente a disciplinare i rapporti fra le Biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze e l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, come era stato peraltro inutilmente previsto dal regolamento di organizzazione del neonato Ministero per i Beni culturali fin dal 1975, anche al fine di evitare inutili e costose duplicazioni di funzioni, sovrapposizioni di competenze, spreco di risorse, inefficienza nei servizi. Da qui la convinzione che una seria riforma del Ministero (tutti sappiamo quante se ne siano susseguite nell’ultimo quindicennio, seppur non sempre necessarie) dovesse prendere in considerazione anche le tematiche legate al sistema bibliotecario, attribuendo esplicitamente questa competenza al dicastero (e sarà grazie a lei se nel d. lgs. n.368 del 1998 verrà faticosamente inserito fra i compiti del nuovo Ministero per i Beni e le Attività culturali “lo sviluppo dei servizi bibliografici e bibliotecari nazionali”) ed assegnando specifici compiti non solo alle due biblioteche nazionali centrali, ma anche agli istituti centrali ed alla rete di biblioteche statali presenti, con varie funzioni e denominazioni, sul territorio. Da qui infine il costante impegno per il riconoscimento della professione bibliotecaria, nella consapevolezza che solo facendo ricorso ad un personale specificamente formato e dalla elevata qualificazione professionale sarebbe stato possibile garantire quel livello e quella qualità dei servizi che per lei dovevano rappresentare il principale scopo delle nostre biblioteche.
Perché la “cultura del servizio” come dovere civile per le biblioteche si può dire rappresenti il filo conduttore di tutti gli ambiti di intervento di Anna Maria Mandillo. E’ appunto pensando alla ricaduta sui servizi bibliografici e bibliotecari che fin dalla metà degli anni Settanta sostiene la necessità di una nuova legge sul diritto di stampa, non tanto e non solo per ovviare alle molte storture procedurali che la rendono scarsamente efficace (obbligo in capo ai tipografi, consegna alle Prefetture, pretesa esaustività), ma soprattutto per trasformarlo, come verrà esplicitato solo molti anni dopo nell’articolo 2 della legge del 2004, in uno strumento finalizzato a garantire “la produzione e la diffusione dei servizi bibliografici nazionali” e “la consultazione e la disponibilità dei medesimi documenti”. Uno strumento volto a consentire l’erogazione di “servizi bibliografici finalizzati all’informazione e all’accesso”, con l’obbligo per gli istituti depositari di “assicurare, non appena concluse le procedure gestionali, l’accesso ai documenti”, come indica, sostanzialmente per suo merito, il successivo regolamento attuativo del 2006. Ed è ancora nell’ottica dei servizi che a partire dagli anni Novanta, quando cominciano a succedersi le direttive europee in materia, molto più restrittive della disciplina in vigore nel nostro Paese, comincia ad occuparsi di diritto d’autore, con lo specifico obiettivo, pur nel rispetto dei diritti degli autori ed in particolare di quello all’equo compenso, di garantire alle biblioteche quelle “eccezioni” alla norma generale, che, in virtù della loro particolare natura di istituti formativi ed informativi, dovrebbero consentire il mantenimento di servizi essenziali come il prestito e le riproduzioni. Da qui il suo sconcerto a seguito dell’approvazione della legge n.248 del 2000 che, equiparando di fatto le biblioteche alle copisterie, oltre all’obbligo di versamento di un compenso forfetario a favore degli aventi diritto introduce un limite del quindici per cento nelle riproduzioni effettuate per uso personale, che di fatto finisce per limitare fortemente le attività di studio e di ricerca in biblioteca; o il suo impegno per far sì che il diritto di prestito pubblico, introdotto dalla direttiva 92/100 della Comunità e basato sul principio della remunerazione degli aventi diritto per i prestiti effettuati dalle istituzioni pubbliche, non gravasse sugli utenti né sulle biblioteche, ma venisse posto a carico dello Stato e delle Regioni attraverso l’istituzione di un apposito fondo, poi effettivamente costituito con la legge finanziaria 2007.
Proprio il servizio di prestito, in particolare interbibliotecario, era stato del resto un altro dei temi sui quali più si era impegnata nel corso della sua carriera Mandillo, allo scopo di garantire, grazie anche alle potenzialità offerte da SBN, quella “disponibilità dei documenti” a livello locale, nazionale ed internazionale solennemente affermata anche dal regolamento di organizzazione delle biblioteche statali del 1995, ma nei fatti assai poco praticata, come dimostrano anche le statistiche prodotte dalla Anagrafe delle biblioteche italiane, dalle quali risulta che meno dell’11% dei nostri istituti eroga ancora oggi questo servizio. Quella Anagrafe che, nata sul finire degli anni Ottanta come progetto di censimento delle biblioteche italiane, era stata da lei seguita fin dagli esordi, in un lavoro difficile e spesso oscuro, il più delle volte basato quasi esclusivamente sulle sue capacità di intessere contatti e rapporti personali con le diverse amministrazioni coinvolte, e che, pur tra mille difficoltà, aveva portato in poco più di un decennio alla pubblicazione dei ventuno volumi (articolati in quasi 40 tomi) del Catalogo delle biblioteche d’Italia e soprattutto, con grande preveggenza, aveva consentito la realizzazione di una base dati contenente informazioni relative a 13.151 biblioteche, che oggi permette l’importazione ed esportazione di dati anche da altre basi dati locali e, attraverso un applicativo web open source, anche un costante aggiornamento da parte delle istituzioni coinvolte.
Appunto a quelle che una volta erano definite “nuove tecnologie”, quanto di più lontano apparentemente potesse esistere per un bibliotecario formatosi agli inizi degli anni Sessanta se non fosse stato per la sua naturale curiosità per tutto ciò che era “nuovo”, era stato dedicato l’ultimo impegno in ordine di tempo di Anna Maria, incaricata di coordinare la redazione della rivista Digitalia, la rivista del digitale nei beni culturali edita, a partire dal 2005, dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, con l’obiettivo di stimolare una riflessione sulle tematiche relative alle tecnologie del digitale, nelle diverse applicazioni che esso può avere in relazione a tutte le categorie di beni culturali. Ed era questo, forse, l’aspetto che più la stimolava, insieme alla positiva ricaduta che queste tecnologie avrebbero potuto avere sui servizi (Diritto d’autore e nuovi servizi al pubblico il titolo del suo unico intervento sulla rivista, pubblicato sul numero 0 del 2005), nella consapevolezza che con il diffondersi degli strumenti informatici sempre meno avessero senso le tradizionali distinzioni settoriali fra archivi, musei e biblioteche e sempre più fosse necessario ragionare in modo integrato, mettendo a fattor comune competenze, tecniche e risorse, umani e strumentali.
In un articolo pubblicato quasi dieci anni fa sul nuovo Codice dei beni culturali e le biblioteche ringraziavo Anna Maria Mandillo per avermi insegnato molto di quanto sapevo in materia di questioni legislative.
Sono contento di averlo fatto, ma solo adesso mi rendo conto di aver sbagliato.
Quello che Anna Maria mi ha insegnato infatti non sono state solamente l’analisi, lo studio, la riflessione sulla principale normativa bibliotecaria, vista come strumento per un miglior funzionamento dei nostri istituti. Quello che Anna Maria ci ha insegnato è stato molto di più: ci ha insegnato cosa significa fare il bibliotecario, con la coscienza e la consapevolezza di svolgere un compito che non si può esaurire nella sua dimensione puramente tecnica, ma deve assumere un valore più profondo, trasformandosi in una sorta di impegno civile per rendere queste nostre biblioteche pienamente adeguate al ruolo che sono chiamate a svolgere e che non sempre, purtroppo, riescono a garantire. Per questo Anna Maria ha lavorato, si è impegnata, ha combattuto per mezzo secolo, con intelligenza, passione, lealtà, raccogliendo molte delusioni ma anche alcuni importanti risultati.
Fra questi, certamente quello di aver saputo trasmettere la stessa consapevolezza e l’identico desiderio di perseguire quegli stessi obiettivi a molti fra i colleghi che hanno avuto la fortuna di condividere con lei parte di questo percorso.
Ci proveremo, anche se senza di te tutto sarà molto più difficile!
 
 
* Per gentile concessione di Gangemi editore. Contributo già pubblicato in «Accademie e biblioteche d’Italia», n.s. 9 (2014), n. 1-2, p. 107-111
 

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