Mibact, così si uccide l'antropologia

Mibact, così si uccide l'antropologia

di Paola Elisabetta Simeoni
La riorganizzazione del Ministero ha stabilito nel numero di 32 le Soprintendenze per le belle arti e paesaggio, le quali hanno il compito di tutelare tra gli altri il patrimonio culturale immateriale demoetnoantropologico, e 17 sono i Segretariati regionali.

Vi sono poi l’Istituto centrale per la demoetnoantropologia – IDEA (per statuto diretto da uno storico dell’arte), l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione – ICCD, l’Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi – ICBSA, il nuovo Polo museale dell’EUR e in particolare i due Musei nazionali, il Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari e il Museo preistorico ed etnografico Luigi Pigorini, l’Ufficio UNESCO del MIBACT.
Tutti questi istituti necessitano di figure professionale specializzate in demoetnoantropologia. Ma gli ultimi demoetnoantropologi in servizio (neppure una decina) sono sulla via del pensionamento. Questo governo conferma con il recente bando di assunzione di voler rottamare le radici culturali del nostro paese: tale settore del patrimonio viene condannato a morte con la messa a bando di soli 5 posti per demoetnoantropologo, rischiando di far scomparire non solo questa professione ma anche la tutela del patrimonio del quale sono competenti.
Non volere immettere in servizio nel MiBACT gli esperti tecnico-scientifici assolutamente necessari tradisce la volontà di non voler tutelare e salvaguardare il patrimonio culturale immateriale demoetnoantropologico di questo paese e denota, come scrive anche Emergenza cultura, un’avversione verso il sapere e la conoscenza scientifica (che è il fondamento della tutela). Il bando per 500 funzionari dei Beni culturali non è il segno del cambiamento che il ministro Franceschini propaganda, è invece il segno dell’evidente declino al quale è condannato il patrimonio culturale nel paese dove la cultura dovrebbe essere l’eccellenza.
Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, punta di diamante della gestione museale nel nostro paese, dice: “Il nostro primo obiettivo è la ricerca: vogliamo diventare il più grande museo egizio del mondo, non solo una grande collezione. La ricerca deve essere l’agenda nel nostro paese nel settore pubblico e in quello privato. L’Italia ha il maggior numero di articoli scientifici pubblicati, a fronte del minor numero di denari investiti. Non è sostenibile” (la Repubblica, 30 maggio scorso).
Ministro Franceschini, le professionalità tecnico-scientifiche demoetnoantropologiche sono la base della tutela, della valorizzazione e di ogni altra attività e politica nei confronti di tale patrimonio: proporre 5 posti per i demoetnoantropologi a livello nazionale – e tutti concentrati nel Lazio – vuole dire uccidere il patrimonio culturale immateriale demoetnoantropologico italiano. Questo non è sostenibile.
 

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