Taranto, il territorio negato

Taranto, il territorio negato

castello taranto
di Pier Giovanni Guzzo
Pubblichiamo l’intervento di Pier Giovanni Guzzo al convegno “Taranto, la città la storia” che si è svolto a Taranto il 20 gennaio organizzato dall’Associazione Bianchi Bandinelli.
Con una coincidenza temporale che solamente il destino, apparentemente, avrebbe potuto organizzare, nello stesso anno di grazia 1882 fu promulgata la legge per la costruzione a Taranto dell’arsenale militare e, con separato provvedimento, istituito, nella stessa Taranto, un ufficio scavi dipendente dal Museo Nazionale di Taranto.

In realtà non fu il destino ad assicurare la contemporaneità dei due avvenimenti: ma la prudente preveggenza di Giuseppe Fiorelli, al tempo direttore generale per le antichità e belle arti. Fiorelli aveva seguito l’iter della legge istitutiva dell’arsenale: organizzando, nel frattempo, l’ufficio scavi e intrattenendo rapporti con il ministero della guerra allo scopo di assicurarsi l’autorizzazione preventiva a seguire i lavori così da poter controllare e recuperare quanto di antico eventualmente si fosse ritrovato. Taranto, infatti, non era terra incognita per il ritrovamento di antichità: e, in parallelo, era luogo nel quale già ormai da più di trecento anni nel procedere a costruzioni di natura militare si distruggevano opere antiche.
Il castello di Taranto risale al periodo della lunga guerra contro i Turchi, culminata con la battaglia navale nelle acque di Lepanto vinta nel 1571 dalla lega cristiana. E le recenti attività di indagine archeologica sotto il castello hanno chiaramente fatto vedere quante realtà stratificate in un lungo succedersi di epoche sono state distrutte per dare spazio alla fortezza e stabilità alla sua costruzione.
D’altronde, pur con periodi di stasi ed altri di accelerazione, le attività di rafforzamento militare di Taranto da allora fino alla fine del XIX secolo non sono mai cessate. Una fase di forte ripresa si ebbe nel periodo napoleonico: nell’isola di San Pietro ha trovato sepoltura Pierre Choderlos de Laclos, uffciale di artiglierie applicato alle fortificazioni tarantine, ma credo più noto come autore di uno dei capolavori della letteratura libertina della seconda metà del XVIII secolo. Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, soggiornò varie volte a Taranto allo scopo di sorvegliare i lavori di rafforzamento militare. Nel 1807 egli firmò, datandolo appunto da Taranto, il decreto che sospendeva gli scavi di antichità in tutto il territorio del regno, ribadendone inoltre il decreto di extraregnazione. Ancora una volta un provvedimento relativo alla protezione delle antichità si è venuto ad intrecciare con attività di carattere imprenditoriale pubblico di notevole portata, come appunto il rafforzamento delle opere militari di difesa della città e del suo porto.
Ho appena accennato alla protezione delle antichità: re Giuseppe promulgò l’anno successivo al ricordato decreto, nel 1808, una legge di carattere generale a proposito di oggetti di antichità e belle arti, ripresa e parzialmente poi modificata da Ferdinando I di Borbone nel 1822. In ambedue i provvedimenti, quello francese e quello borbonico, è evidente la derivazione dal chirografo di Pio VII Chiaramonti del 1802, relativo alla stessa materia, redatto da Carlo Fea. Le linee fondamentali di questo originario ed originale provvedimento pontificio possiamo ancora identificare, senza difficoltà, nel testo della legge n. 1089 del 1939, a sua volta ricompresa nel decreto legislativo n. 42 del 2004, attualmente vigente con i suoi aggiornamenti e modifiche. Tale lunga sopravvivenza dei principi è dimostrazione che l’efficacia della legge di tutela dipende, in colui che la compone, anche dalla conoscenza della materia afferente: conoscenza che non è requisito proprio di esperti di diritto amministrativo o aziendale, ai quali attualmente si preferisce commissionare testi del genere.
Continuando, dopo questa deviazione, la storia dell’evolversi dell’attività industriale a Taranto parallela al ritrovamento di antichità si può convenire che la città ed il suo immediato comprensorio sono le principali zone di ritrovamento degli oggetti antichi confluiti nella collezione dell’arcivescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro, venduta al re Cristiano di Danimarca. Ed il succedersi di ritrovamenti antichi era continuo nel tempo: tanto che, già nel 1875, quindi ben prima dell’inizio dei lavori per la costruzione dell’arsenale, Fiorelli ritenne necessario svolgere un’ispezione sulle sospette modalità di ritrovamento messe in atto dal canonico De Vincentiis. E, per di più, è da quello stesso anno 1875 che, sempre Fiorelli, iniziò a progettare l’istituzione di un museo archeologico in città. Inoltre, nel 1881, Fiorelli incaricò l’ingegner Tascone, già attivo nel rilevamento topografico di Pompei, di redigere una carta topografica di Taranto da utilizzare come base per localizzare le scoperte archeologiche.
L’inizio dei lavori di costruzione dell’arsenale, dal 1883, fu causa anche di importanti ed incidenti attività di edilizia, pubblica e privata, nel settore urbano definito Borgo: sede, in antico, di non secondari settori della città storica e, probabilmente, anche di insediamenti iapigi precedenti nel tempo allo sbarco dei Parteni laconici fondatori di Taranto. È, infatti, dalle attività edilizie in corso al Borgo che provengono i disparati reperti, per lo più ceramici, noti sotto l’ingannevole definizione di “pozzo D’Eredità”. A responsabile dell’ufficio scavi appositamente istituito Fiorelli nominò Luigi Viola, originario di Galatina: il quale, però, non si ritenne gratificato da tale incarico, avendo preferito rimanere a Napoli. Nonostante tale sua scontentezza, Viola tentò dapprima di adoperarsi per controllare i ritrovamenti che si effettuavano nel corso della costruzione del canale navigabile, delle opere sulla costa di Santa Lucia, dell’ospedale militare, nei terreni di proprietà privata. Gli alti e bassi delle attività di Luigi Viola, così come il suo percorso privato che lo condusse al matrimonio con Caterina Cacace, della potente famiglia imprenditoriale, e successivamente a divenire, sia pure per breve periodo, sindaco di Taranto, sono ben noti, così che non sembra giustificato parlarne adesso. Piuttosto, sembra opportuno ricordare il lungo ed alterno contenzioso tra direzione generale per le antichità e belle arti e il comune di Taranto a proposito del museo archeologico.
Di tali vicende Cosimo D’Angela ha ricostruito attentamente l’andamento nel suo prezioso studio intitolato al “Museo negato”: sicché, anche per questo argomento, sembra giustificato trarre solamente una conclusione generale, il più aderente possibile al nostro argomento. Di fronte all’esborso che lo Stato si era addossato per la costruzione dell’arsenale, le poche migliaia di lire necessarie a troncare quel contenzioso ed avviare dignitosamente la vita del museo rappresentavano una percentuale irrisoria. Ma le ragioni e le scelte politiche hanno reso sempre difficoltoso disporre di finanziamenti congrui alle necessità di tutela e di decoro dei beni culturali: in specie a confronto con le disponibilità e le spese relativi a differenti settori dell’attività pubblica, da quelle militari, come allora a Taranto ed ancora oggi, a quelle di costruzioni infrastrutturali, non sempre e non tutte realmente necessarie ed opportune. In tale cronico e miserevole esiguità di risorse è pur necessario rilevare che, se non si fosse messo mano alla costruzione dell’arsenale militare, non si sarebbero concretizzati né il museo né l’ufficio scavi. Basta dare un’occhiata alla corrispondenza intercorsa tra la direzione generale ed il ministero della guerra a proposito delle autorizzazioni di seguire i lavori per rendersi conto del senso di fastidio e di irrisione manifestato dalle alte gerarchie militari nei confronti di Fiorelli. Il rapporto fra quanto si riteneva importante e quanto, invece, superfluo si evidenzia con immediatezza.
E, d’altronde, non pare che la situazione sia molto cambiata da allora. Nella presente congiuntura l’attenzione alle condizioni ambientali si è acuita a causa della generale influenza negativa che lo stabilimento siderurgico ha indotto nei confronti del comprensorio tarantino e della popolazione che vi risiede. Il museo immaginato da Fiorelli, che Viola aveva iniziato ad organizzare, finalmente inaugurato da Quintino Quagliati nel 1906 (diciannove anni dopo essere stato formalmente istituito) deve la sua rinomanza all’aver conservato ed esposto ai Tarantini quanto di rilevante per l’età antica era stato recuperato ad illustrare e far conoscere la storia e l’arte dell’antica loro città e del comprensorio di riferimento. La stretta unione tra territorio storico e museo di Taranto ne costituiva uno dei pregi maggiori. Ora, come accennato, la salvaguardia del territorio dall’incalzante inquinamento è venuta a porsi come priorità d’emergenza: mentre il legame istitutivo del museo con il suo territorio di riferimento è stato troncato, così che protezione della storicità della città e del suo contesto e presentazione della loro documentazione materiale sono state insipientemente conferite a due responsabilità diverse, e lontane, l’una dall’altra. Lo scollamento che si è venuto così a creare tradisce una tradizione di fare storia che gli Italiani avevano elaborato e propagandato, tanto da divenire modello anche per scuole scientifiche di altri Paesi.
Ma, nel caso specifico di Taranto, si è adesso rinnovata la successione di interventi dirigistici susseguitisi nel tempo, fin dalla prima edificazione del castello nella guerra contro i Turchi. La popolazione di Taranto, o almeno parte di essa, ha anche tratto reddito e profitto da realizzazioni del genere: ma a costo di estraniarsi con sempre maggiore evidenza dal fecondo scambio con il territorio, rendendolo inoltre, senza colpa perché di necessità, sempre più sterile e lontano. Castello, arsenale, centro siderurgico hanno vissuto e vivono ognuno la propria vita, estranei alla realtà del territorio, anche se ormai in esso ospitati tanto da essere considerati di casa: ma non parte della stessa famiglia. Ora anche il museo è stato reso autonomo: le sue mura sono le stesse di quando il convento fu individuato per ospitare le antichità della città: ma il suo compito non è più quello di mostrarle. Ma dove, quindi, i tarantini potranno vedere, da oggi in poi, quanto di antico sarà recuperato nella loro stessa città?

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