ANNALE n. 21 (2010): L’Aquila: questioni aperte. Il ruolo della cultura nell’Italia dei terremoti,

ANNALE n. 21 (2010): L’Aquila: questioni aperte. Il ruolo della cultura nell’Italia dei terremoti,

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Annali dell’Associazione Bianchi Bandinelli 

n. 21 – 2010

L’AQUILA: QUESTIONI APERTE

Il ruolo della cultura nell’Italia dei terremoti

Atti del Convegno tenuto a Roma il 10 dicembre 2009

a cura di Paola Nicita

coordinamento scientifico di Marisa Dalai Emiliani e Vezio De Lucia

«Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Giulio Carlo Argan», n. 21, Iacobelli editore, Pavona di Albano Laziale (Roma) 2010

Presentazione del volume

Giovedì 3 giugno, alle ore 15, sarà presentato a L’Aquila il nuovo Annale dell’Associazione Bianchi Bandinelli, che raccoglie gli Atti del Convegno sul tema “L’AQUILA: QUESTIONI APERTE. Il ruolo della cultura nell’Italia dei terremoti”, a cura di Paola Nicita, coordinamento scientifico di Marisa Dalai Emiliani e Vezio De Lucia. La presentazione si terrà presso la Carispaq – Auditorium Elio Sericchi, Centro Direzionale “Strinella 88”, via Pescara 4. Modererà Giuseppe Caporale, interverranno Eugenio Carlomagno, Mauro Chilante, Vezio De Lucia, Ettore Di Cesare, Ferdinando Di Orio, Gaetano Fontana, Mario Lolli Ghetti, Valentino Pace, Antonio Perrotti, Vladimiro Placidi, concluderà Marisa Dalai Emiliani. Sarà presente Roberto Cecchi, Segretario Generale del Ministero per i beni e le attività culturali.

Invito alla Presentazione (PDF)  |  COMUNICATO STAMPA (WORD)  |  Pagina sul convegno

20 ottobre 2010 – Alla Biennale un nostro video su “L’Aquila. Un terremoto post-moderno”

L’Associazione Bianchi Bandinelli si è ripetutamente occupata del terremoto dell’Aquila, estendendo lo sguardo critico dalle responsabilità in materia di beni culturali a tutti i profili della catastrofe. L’Associazione ha quindi raccolto l’invito della Biennale di Venezia, partecipando con il Power Point dal titolo “Un terremoto post-moderno”, curato da Umberto D’Angelo, Vezio De Lucia, Roberto De Marco e Paola Nicita. In poche immagini è esposta una storia del terremoto molto diversa da quella raccontata dai TG e dalla maggior parte dei giornali. La storia di una non ricostruzione, perfettamente rappresentata dalla scelta delle new town aquilane: una città surrogata da 19 periferie. In definitiva, la ricostruzione è stata affrontata esclusivamente come questione edilizia, mentre sono in rovina il centro storico e l’insieme di un importante patrimonio d’arte, di storia e di cultura.

Il Power Point sarà proiettato fino al 21 novembre all’interno del progetto “E-PICENTRO” (12° Mostra Internazionale di Architettura di Venezia).

Guarda il Power Point in formato video su YOUTUBE  (Link esterno)

Abstract di presentazione PPT (PDF)

Il progetto E-PICENTRO alla Biennale (PDF)

2009-12-10_ManifestoConvegno

L’AQUILA:

QUESTIONI APERTE

Il ruolo della cultura nell’Italia dei terremoti

 

 

Atti del Convegno tenuto a Roma il 10 dicembre 2009

Associazione Bianchi Bandinelli

in collaborazione con

Associazione Amici di Cesare Brandi, Associazione Italiana Biblioteche, Associazione Nazionale Archivistica Italiana, Assotecnici, Centro Studi sulla Civiltà artistica dell’Italia Meridionale “Giovanni Previtali”, Comitato per la Bellezza, Italia Nostra, PatrimonioSOS

 

Testi di

Giuseppe Basile, Ferdinando Bologna, Remo Cacitti, Mario Canti, Roberto Cecchi, Gianfranco Cerasoli, Pier Luigi Cervellati, Giuseppe Chiarante, Marisa Dalai Emiliani, Giovanni D’Amico, Umberto D’Angelo, Vezio De Lucia, Roberto De Marco, Giorgio De Matteis,  Sergio Di Giusto, Vittorio Emiliani, Ferruccio Ferruzzi, Donatella Fiorani, Emanuela Guidoboni,  Claudio Leombroni, Luisa Leopardi, Igor Londero, Pietro Petraroia, Lorenzo Saccomano, Maria Emanuela Vesci, Vincenzo Vita

 
 
Sommario del volume
 
INTRODUZIONE
 
Giuseppe Chiarante
Le ragioni dell’iniziativa
 
  
I. GLI STRUMENTI DELLA RICERCA E DELL’INFORMAZIONE
 
Emanuela Guidoboni
Terremoti e ricostruzioni: un nodo storico in Italia fra conservazione e abbandoni
 
Roberto De Marco
Predire, prevedere, prevenire: dal terremoto dello Stretto all’Aquila
 
Vittorio Emiliani
L’informazione intermittente
 
  
II. NON MODELLI MA ESEMPI
 
Igor Londero
Partecipazione e volontariato nel Friuli del terremoto
 
Sergio Di Giusto e Lorenzo Saccomano
L’Ufficio della Curia Arcivescovile di Udine per il recupero delle chiese danneggiate
 
Remo Cacitti
«Reaedificabo illud sicut in diebus antiquis». Friuli 1976: le scelte per il patrimonio culturale e la ricomposizione del centro storico di Venzone
 
Mario Canti
Marche 1997: il ruolo degli Enti Locali per i beni culturali
 
Giuseppe Basile
Umbria 1997: professionalità e volontariato
 
  
III. L’AQUILA: COME COSTRUIRE IL FUTURO
 
Ferdinando Bologna
Quale destino per il patrimonio storico-artistico?
 
Umberto D’Angelo
Presente e futuro delle istituzioni culturali
 
Claudio Leombroni
Le prospettive dei servizi bibliotecari e il domani dell’Aquila
 
Ferruccio Ferruzzi
L’Archivio di Stato dell’Aquila e il sisma del 6 aprile
 
Pietro Petraroia
Un vincolo per la rinascita, un impegno per tutti
 
Donatella Fiorani
Conoscenza e progetto di restauro architettonico: il ruolo dell’Università
 
Vezio De Lucia
(Contro) la rovina dell’Aquila
 
Luisa Leopardi
Un centro storico da salvare: la situazione normativa e finanziaria
 
Pier Luigi Cervellati
Invece del riscatto, l’abbandono?
 
  
Tavola rotonda
OLTRE IL TERREMOTO
 
Introduce e coordina Maria Emanuela Vesci
 
Roberto Cecchi
 
Gianfranco Cerasoli
 
Giovanni D’Amico
 
Giorgio De Matteis
 
Vincenzo Vita
 
  
CONCLUSIONI
 
Marisa Dalai Emiliani
 
  
APPENDICE
 
Mozione del Consiglio Superiore dei Beni Culturali e Paesaggistici (14 dicembre 2009)
 
  
ILLUSTRAZIONI
 
 

_____________________

Le ragioni dell’iniziativa

Giuseppe Chiarante

Associazione Bianchi Bandinelli

Ritengo non vi sia bisogno di molte parole per chiarire le ragioni che ci

hanno indotto a promuovere questa giornata di studi sulla situazione

dell’Aquila e dell’Abruzzo dopo il terremoto, con particolare riferimento ai

problemi della salvaguardia e del recupero del patrimonio storico e culturale.

Infatti, chiunque conosca l’attività dell’Associazione Bianchi Bandinelli,

come certamente la conoscono i presenti, sa bene che sin dalla sua costituzione

agli inizi degli anni Novanta la nostra Associazione ha concentrato

il suo interesse e la sua iniziativa sui temi riguardanti la conservazione e la

tutela – così come è prescritto dalla Costituzione – del patrimonio storicoartistico

e del paesaggio italiano: considerando non isolatamente i singoli

beni di rilevanza culturale e ambientale, ma ponendo in primo piano

l’intreccio che storicamente si è determinato tra i monumenti, le opere

d’arte, i centri storici maggiori e minori, le testimonianze archeologiche e

storiche, l’ambiente naturale e paesistico, intreccio che qualifica i singoli

beni e che nel suo complesso costituisce il patrimonio che caratterizza

l’identità storica e culturale del nostro paese. È in questa prospettiva che

abbiamo valutato la gravità dei danni che l’evento sismico ha arrecato ai

beni storico-artistici e al patrimonio culturale e naturale dell’Aquila e del

territorio abruzzese; ed è in questa luce che ci è parso opportuno convocare

un incontro di studi in una giornata come quella di oggi, quando cioè è

possibile cominciare a tracciare un bilancio dei danni provocati dal terremoto

e dei risultati ottenuti con gli interventi d’emergenza e al tempo

stesso si tratta di iniziare a discutere in modo più articolato i problemi

della ricostruzione alla quale si deve ormai dare avvio.

Senza dunque insistere ulteriormente sulle ragioni dell’iniziativa, mi

pare invece che convenga dire qualcosa di più sul modo in cui abbiamo

lavorato per preparare questo incontro e, di conseguenza, sul programma

che abbiamo proposto per la giornata odierna. Non posso non ricordare, a

questo proposito, l’indicazione che Giulio Carlo Argan volle particolarmente

sostenere quando, con un ristretto gruppo di compagne e compagni,

decidemmo, nel 1991, di dar vita a questa Associazione. Argan, che

veniva da un’attività politica – quella di sindaco di Roma e poi di senatore

– che si era sovrapposta a quella di studioso, di funzionario scientifico

del Ministero, di docente universitario, motivava la sua proposta di costituire

una nuova associazione con la necessità, che dichiarava di aver avvertito

fortemente nel corso della sua esperienza, di creare una sede permanente

e qualificata di confronto critico, di cooperazione, di collaborazione

che “impegnasse” in un lavoro comune – superando anacronistiche separazioni

– il mondo degli studi, della formazione, della ricerca, operante

soprattutto nelle università, il mondo dei funzionari tecnico-scientifici ai

quali è direttamente affidata l’opera di conservazione e di tutela e che in

realtà attraverso quest’opera recano un contributo decisivo anche all’avanzamento

delle ricerche o delle conoscenze, e infine il mondo dei politici e

degli amministratori che nelle istituzioni nazionali e locali sono chiamati

ad assumere, con le decisioni in materia di legislazione, di finanziamento,

di programma, le scelte necessarie affinché sia attuato in modo coerente e

corretto il principio costituzionale della salvaguardia del patrimonio storico

e artistico della nazione.

A queste indicazioni di Argan si è rigorosamente attenuto lo stile di

lavoro che la nostra Associazione ha seguito in questi anni; e anche in questa

circostanza abbiamo operato in modo da assicurare la convergenza in un

impegno comune delle diverse capacità, competenze, intelligenze di questo

settore. Consideriamo perciò molto positivo che abbiano accettato di

promuovere insieme a noi questa giornata di studi, come risulta dal programma,

altre importanti Associazioni di tutela e le Associazioni di categoria

dei vari settori dei beni culturali, nonché ben noti docenti e studiosi.

Al tempo stesso ringraziamo gli amministratori e i politici che hanno aderito

all’invito di partecipazione alla tavola rotonda finale, che avrà per

oggetto sia una messa a punto sul complesso dei danni provocati dal terremoto,

sia la prospettiva della ricostruzione e della rinascita dell’Aquila e

del territorio circostante.

A questa premessa sul metodo di lavoro seguito nel preparare questa

giornata voglio però aggiungere che proprio nella fase preparatoria, discutendo

sui temi da affrontare e porre in discussione nel corso dell’incontro,

ci siamo resi conto che un intervento sulla situazione creata dal terremoto

e tanto più l’opera di ricostruzione pongono problemi di grande rilevanza

non solo economica e materiale ma anche culturale e scientifica, che non

possono perciò essere affrontati positivamente senza quella stretta cooperazione

fra il mondo degli studi e della ricerca, gli operatori scientifici e tecnici

dell’amministrazione della tutela, i responsabili politici e amministrativi

che Argan auspicava.

Indico in modo molto sintetico alcuni di questi problemi, a partire da

quello – decisivo – della prevenzione.

Abbiamo voluto ricordare, già nel titolo dato a questa iniziativa, che

l’Italia è “paese di terremoti”; ma è anche paese molto esposto ai danni provocati

da altri eventi, come hanno dimostrato nelle ultime settimane le

frane, i nubifragi, le alluvioni che hanno provocato diverse vittime e non

pochi danni sia in Sicilia (particolarmente a Messina) sia in varie zone della

Campania e della Calabria.

È chiaro che così nel caso dei terremoti come in quello dei danni provocati

dagli agenti atmosferici, la gravità dei guasti è determinata innanzitutto

dall’entità dei fenomeni sismici o atmosferici che si sono verificati;

ma molto spesso è amplificata dalle condizioni di dissesto del territorio,

dalla precarietà degli edifici e delle opere pubbliche, dal mancato rispetto

di norme essenziali in materia di centri storici, di tutela dell’ambiente, di

amministrazione del suolo.

Non a caso quando in questi anni si sono verificati in Italia eventi di

questo tipo, è stata, con fondate ragioni, chiamata in causa la responsabilità

di una scarsa coscienza civica e di una cattiva politica del territorio,

troppe volte negativamente caratterizzata da una sregolata cementificazione,

da un disboscamento di colline e montagne che ha contribuito a rendere

rovinose frane e alluvioni, da un’espansione edilizia che, dominata da

una logica speculativa, ha sin troppo spesso travolto ogni seria regola di

razionalità e anche solo di prudenza urbanistica, e ha fatto scempio di

ambiente, paesaggio, parti rilevanti di centri storici maggiori e minori. I

casi limite sono le costruzioni effettuate in zone dichiaratamente sismiche

senza tener adeguato conto delle regole fondamentali della normativa urbanistica

e antisismica e l’edificazione dissennata in zone franose e alluvionali

dove facilmente si sono ripetuti disastri che avrebbero potuto essere evitati.

Perciò quando catastrofi e disastri si verificano anziché ricercare alibi di

comodo nella sin troppo facile affermazione che i terremoti e gli agenti

atmosferici di carattere catastrofico sono imprevedibili, occorre porre come

premessa di ogni nuovo intervento la consapevolezza – che è scientifica e

insieme politica – del valore essenziale dell’opera di prevenzione e quindi

di una razionale politica urbanistica, di un uso assennato del territorio, del

rispetto rigoroso di tutte le norme di tutela. È questa consapevolezza che

deve essere alla base di ogni programma di ricostruzione.

Ma anche per quel che riguarda l’impostazione della ricostruzione ci

sono interrogativi, al tempo stesso politici e culturali, ai quali occorre pregiudizialmente

dare risposta per evitare un’edificazione che finisca con

l’avere un’impostazione essenzialmente speculativa. Nella documentazione

raccolta in preparazione del Convegno vi è uno studio elaborato dal Comitatus

Aquilanus, coordinato da Vezio De Lucia che ha un titolo molto significativo:

Non si uccide così anche una città? Questo titolo, che fa riferimento

a quello di un ben noto film americano – Non si uccidono così anche i cavalli?

di Sydney Pollack (1969) – denuncia un pericolo molto concreto: ossia che

la sorte dell’Aquila come città, nonostante le molte promesse governative

e nonostante le indubbie buone intenzioni di molti operatori, sia praticamente

segnata in senso negativo e ciò per l’orientamento in qualche misura

già in atto verso un’espansione edilizia perlopiù di basso livello culturale

fuori del centro storico, in direzione delle cosiddette nuove città costruite

dopo il terremoto all’esterno del vecchio perimetro urbano; sia per una tendenza,

che ne sarebbe incrementata, all’abbandono da parte degli abitanti

delle parti più degradate della città vecchia, dove molte delle vecchie case,

una volta abbandonate, diventerebbero oggetto di una speculazione edilizia

con una nuova destinazione abitativa (case alloggio per professori e studenti,

seconde case, residenze turistiche, ecc.). Congiungendo questa tendenza

con quella di parte degli abitanti del centro storico che in questi

mesi hanno dovuto abbandonare le loro case per il momento inagibili, a

rendere permanenti i nuovi insediamenti in cui si sono provvisoriamente

trasferiti (per lo più sulla costa o in altre parti della Regione), è fuori dubbio

il rischio di un sostanziale abbandono dell’Aquila come città storica.

Ciò che si è sinora fatto per avviare la ricostruzione (troppo poco per il centro

storico della città) non contrasta affatto questa ipotesi.

Sarebbe in sostanza il trionfo di una modernità senza storia e senza cultura.

Al contrario è nostra convinzione che proprio perché l’Italia è terra di

terremoti, è un’area sismica dove questi fenomeni si sono continuamente

succeduti, ma al tempo stesso un paese la cui identità è rappresentata da

un patrimonio storico che si è stratificato e accumulato nel corso dei secoli,

è nostra convinzione che la scelta pregiudiziale deve essere, all’opposto,

quella di conservare, al massimo, l’identità culturale della città e del territorio

che la circonda. Per questo la salvezza e il recupero del centro storico

con le sue caratteristiche identitarie e con le sue funzioni storicamente

acquisite, deve essere realizzato nel rispetto di quella Carta per la tutela e

il risanamento dei Centri storici elaborata a Gubbio nel 1964, che oltretutto

è proprio un prodotto della cultura italiana e deve essere – a nostro

avviso – l’obiettivo prioritario dell’opera di ricostruzione. In questo quadro

saranno considerati come altrettanto essenziali il recupero e il restauro dei

beni culturali in senso stretto – i palazzi, le chiese, le opere artistiche, gli

istituti culturali – così come essenziale è garantire il funzionamento dei

servizi culturali per la popolazione, che costituiscono il ruolo fondamentale

di una città storica. Un quadro della situazione che si presenta a questo

riguardo, e degli interventi indispensabili, verrà fornito nelle relazioni e

negli interventi che ascolteremo nella giornata di oggi.

Ci è parso opportuno, in relazione alla complessità dell’opera di ricostruzione,

utilizzare questa giornata di studi per riflettere sull’esperienza

compiuta in altre regioni italiane che recentemente hanno dovuto affrontare

i guasti determinati da gravi eventi sismici, come è accaduto in Friuli,

nell’Umbria e nelle Marche. Abbiamo perciò dedicato una sezione

dell’odierno convegno alla documentazione e all’analisi di come è stata

affrontata la fase del post-terremoto in queste regioni, chiamando a dare un

loro contributo non solo urbanisti e operatori dei beni culturali, ma anche

amministratori a livello comunale, provinciale, regionale.

C’è infine un ultimo problema che mi pare opportuno sottoporre

all’attenzione e al dibattito dei partecipanti al Convegno: è il problema

dell’autorità che dovrebbe essere chiamata a dirigere il complesso degli

interventi, per quel che riguarda l’insieme del patrimonio culturale, in una

situazione in cui si tratta di coordinare capacità e competenze molteplici

come accade dopo un terremoto.

Ho ricordato all’inizio che Giulio Carlo Argan, al cui insegnamento e

alla cui esperienza la nostra Associazione si è costantemente attenuta, insisteva

particolarmente nel sottolineare il primato che doveva essere assicurato

al momento conoscitivo e scientifico in ogni intervento riguardante il

patrimonio culturale.

Per questo Argan riteneva (e a questa sua posizione ispirammo la proposta

di legge che presentammo insieme al Senato) che non fosse opportuno

dare all’amministrazione dei beni culturali e ambientali una struttura di

tipo ministeriale, inevitabilmente destinata ad essere caratterizzata da una

logica burocratica e facilmente sottoposta ai condizionamenti del potere

politico e alle pressioni degli interessi economici, e che convenisse invece

puntare, come del resto già aveva proposto la Commissione Franceschini, su

un’amministrazione autonoma dei beni culturali, che unificasse le strutture

di tutela di carattere territoriale e gli Istituti centrali eminentemente scientifici

e che facesse capo a un Consiglio nazionale elettivo, espressione degli

studiosi e dei ricercatori sia delle università sia delle istituzioni di tutela.

È chiaro che se si fosse dato vita a un’amministrazione di questo tipo,

nella situazione di emergenza creata dal terremoto sarebbe stato del tutto

naturale affidare a tale amministrazione – che avrebbe avuto al suo interno

il nucleo fondamentale delle capacità e delle competenze necessarie per

intervenire per la salvaguardia e il recupero del patrimonio culturale – i

poteri straordinari di carattere commissariale che sono stati invece affidati

alla Protezione civile: della quale non intendiamo certamente contestare le

capacità per l’esecuzione di interventi di emergenza, ma che invece è inevitabilmente

costretta a far ricorso a competenze esterne per tutto ciò che

riguarda il patrimonio culturale.

L’irrazionalità di questo affidamento alla Protezione civile è già apparso

evidente in questi mesi anche all’Aquila e sarà certamente documentato

anche negli interventi che ascolteremo nella giornata di oggi. Oltretutto è

paradossale – anche se la strada prescelta non è stata l’attuazione della proposta

di Argan dell’amministrazione autonoma – che pur essendo stato

creato un Ministero specifico per i beni culturali non si sia fatto ricorso per

il terremoto d’Abruzzo alla soluzione più semplice, quella di affidare a un

direttore di tale ministero, i poteri e le funzioni del commissario, come era

stato fatto per i terremoti in Umbria e nelle Marche, quando commissario

era stato nominato, con risultati complessivamente soddisfacenti, il direttore

generale Mario Serio.

La situazione che si è creata, con gli inconvenienti che anche la discussione

di oggi metterà certamente in luce, all’Aquila e in Abruzzo, conferma

in sostanza la tendenza a svuotare l’amministrazione dei beni culturali di

funzioni e competenze, trasferendole ad altri poteri dello Stato. Ma questa

è una ragione di più perché ci si torni a domandare se questo ordinamento

non debba essere modificato e se non sia da prendere in considerazione la

maggiore validità di una soluzione quale quella proposta dalla Commissione

Franceschini e poi ripresa da Giulio Carlo Argan, ossia quella di organizzare

la gestione e la tutela dei beni culturali e ambientali in un’amministrazione

autonoma di carattere eminentemente scientifico, che abbia il

suo vertice in un Consiglio elettivo espressione del mondo della cultura.

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