La scomparsa di Chiarante

La scomparsa di Chiarante

31 luglio 2012: Si è spento nella notte Giuseppe Chiarante, fondatore con Argan dell’Associazione Bianchi Bandinelli nel 1991. Dell’Associazione è stato il presidente dal 1993 al 2005, poi presidente onorario e coordinatore del Comitato scientifico. La sua infaticabile battaglia in difesa del patrimonio culturale italiano, come esponente della sinistra, senatore, vicepresidente del Consiglio Nazionale dei beni culturali, ha rappresentato un importante contributo contro la deriva economicistica della cultura e a favore di una riforma dell’amministrazione dei beni culturali che mettesse in primo piano le competenze tecnico-scientifiche. Per molti anni impegnato sui temi della scuola e dell’università, ha sostenuto l’importanza di uno stretto legame tra il mondo della formazione e quello della tutela dei beni culturali. L’Associazione esprime il suo cordoglio per la perdita e insieme rinnova il suo impegno a proseguire con tenacia le battaglie che per tanti anni ha condotto Giuseppe Chiarante.
Qui di seguito: articoli e comunicati sulla scomparsa di Chiarante
Altre pagine:
Fotografie con Chiarante
Elenchi di articoli e libri di Chiarante
Articolo in ricordo di Giuseppe Chiarante e Renato Nicolini
 
Riportiamo qui di seguito il bel ricordo di Vittorio Emiliani (scritto per “Articolo 21”) e, di seguito, una selezione di articoli e comunicati usciti in occasione della scomparsa di Chiarante.

Il ricordo di Vittorio Emiliani

Sono scomparsi in questi giorni due intellettuali che sono riusciti a dare molto alla cultura e quindi alla politica, in forme diverse. Renato Nicolini ha fatto irruzione negli anni in cui il terrorismo aveva desertificato le sere e le notti urbane, persino a Roma, portandovi gli anticorpi della cultura e dello spettacolo (qualitativo) di massa, con una creatività forte e trasgressiva. Giuseppe (Beppe) Chiarante – che veniva da una solidissima cultura politica ed aveva alle spalle, avendola iniziata da giovane, una lunga esperienza parlamentare fra Camera e Senato – ha vissuto una seconda vita come intellettuale e politico (non più di professione, ad un certo punto) occupandosi in modo competente e incisivo di beni culturali. A differenza di Renato Nicolini, che nel vasto ambito della metropoli romana, poté con tre sindaci (Argan, Petroselli e Vetere), esplicare in pieno, quale amministratore, la propria vena creativa traducendola soprattutto nelle Estati romane, Beppe Chiarante non ha potuto dare il proprio importante contributo in modo diretto, come ministro o come sottosegretario, essendogli state preferite dal partito altre figure. Anche se aveva dimostrato di destreggiarsi assai bene alla guida dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli fondata da Giulio Carlo Argan. Evidentemente gli venne fatto pagare l’inattaccabile spirito di autonomia critica dimostrato con convegni, dibattiti, documenti di denuncia strategici per tanti temi (compresi quelli più negletti, o meno spettacolari, come archivi e biblioteche), pubblicati sempre con grande tempestività. E che riempiono interi scaffali delle nostre librerie, alcuni autentici manuali.
Beppe Chiarante poté essere, e lo fu a lungo, il vice-presidente esecutivo, quindi, di fatto, il presidente, del Consiglio Nazionale per i beni Culturali, e anche da quel ruolo consultivo, non lesinò certamente critiche severe e fondate ai progetti di riforma predisposti anche da suoi compagni o ex compagni di partito come Veltroni e Melandri. Non era d’accordo sulle Soprintendenze regionali (ingrossate poi a direzioni generali regionali), andate ben al di là dei compiti di mero coordinamento. Non era d’accordo sui Poli museali (che a Roma, dove ogni Galleria ha una propria storia, esso sta agendo da freno e da riduttore di attività) e su altri punti, e lo disse e scrisse senza mezzi termini. Così com’era fortemente polemico con la degenerazione burocratica del Ministero che del resto Argan e lui avevano avversato preferendogli una Agenzia speciale per i Beni culturali. Quando Berlusconi rivinse le elezioni nel 2001, eravamo stati da pochi mesi nominati insieme nel Consiglio Nazionale per i Beni culturali e lui era stato da noi rieletto alla unanimità (sottolineo) vice-presidente esecutivo del medesimo organismo. Quando Giuliano Urbani diventò titolare del Collegio Romano, con l’esagitato Vittorio Sgarbi sottosegretario, dopo pochi mesi di sgoverno e di polemiche strumentali (mai raccolte da un Chiarante inappuntabile), fummo estromessi e sostituiti: Chiarante, il rappresentante di Legambiente ed io. Lui, a differenza di altri, non trattò nulla per sé, se ne uscì subito con grande dignità tornando al lavoro di studio, di ricerca e di denuncia (nel quale fummo sempre d’accordo) della Bianchi Bandinelli. Mentre il Consiglio Nazionale veniva esautorato da Urbani e nemmeno più convocato, per mesi e mesi.
Tante altre cose si potrebbero dire di questo intellettuale venuto dalla politica, che continuò a farne di molto concreta occupandosi di musei, di biblioteche e di paesaggi, ma senza astratti ideologismi, con fermi principii e con una grande propensione culturale all’unità delle forze che si ispiravano all’articolo 9 della Costituzione. Era ovviamente contrario ad una nozione economicistica, produttivistica della cultura e dei suoi beni, e insieme esprimemmo, come associazioni, tale contrarietà alla responsabile del Partito Democratico, Vittoria Franco, che stava elaborando nel 2006 il programma per la cultura. Ella rimase palesemente fredda davanti alle idee esposte da Beppe e da me. Ma lui, pur amareggiato, ne trasse motivo per un più intenso impegno, civile e culturale. Ci vedevamo tutti i lunedì ai concerti dell’Accademia di Santa Cecilia di cui era, con Sara, un frequentatore appassionato, anche dopo che un primo ictus l’aveva colpito. Ci mancherà la sua affettuosa presenza, la sua mite risolutezza, il suo concreto stimolo culturale, quel suo fare civile e rigoroso, ci mancherà. Ci manca già molto.
Vittorio Emiliani
 

Agenzie stampa uscite Martedì 31 Luglio 2012

CHIARANTE: IL RICORDO DI NAPOLITANO
(AGENPARL) – Roma, 31 lug – Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, appresa con commozione la notizia della scomparsa di Giuseppe Chiarante, in un messaggio ricorda “gli anni di più stretta collaborazione tra noi nel campo della politica culturale, sempre in un rapporto di stretta comprensione e amicizia. E’ stato uomo colto e sensibile, di squisita gentilezza umana e al tempo stesso convinto e persuasivo sostenitore delle ragioni in cui credeva. Esprimo la mia più calda solidarietà alla moglie Sara e al mondo della cultura umanistica che ha perso un suo valido esponente”
Chiarante: Cecchi, un personaggio con grande passione civile e culturale
(ASCA) – Roma, 31 lug – ”Esprimo un sincero dolore e un profondo cordoglio per la scomparsa di Giuseppe Chiarante di cui occorre ricordare la grande passione e sensibilita’ culturale. Qualita’ espresse in particolare a favore della tutela del nostro patrimonio culturale, sia attraverso un’intensa attivita’ politico parlamentare sia alla guida del Consiglio superiore dei Beni culturali”, dichiara in una nota Roberto Cecchi, sottosegretario del Ministero dei Beni culturali.
Chiarante: Bersani, un protagonista della nostra cultura politica
(ASCA) – Roma, 31 lug – Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani ha inviato un messaggio alla famiglia di Giuseppe Chiarante, esprimendo ”il piu’ profondo cordoglio e fraterna solidarieta”’ per la sua scomparsa. Bersani ricorda Chiarante come un dirigente politico che ”seppe coniugare con lealta’ e coerenza le sue idee politiche con i principi del cattolicesimo”. ”Uomini come Giuseppe – conclude il segretario del Pd – hanno rappresentato una parte importante della nostra cultura politica”.
Chiarante: Veltroni, se ne va intellettuale attento e politico colto
(ASCA) – Roma, 31 lug – ”Con Giuseppe Chiarante se ne va un dirigente politico attento e colto, una persona gentile.
Chiarante veniva da un percorso politico del tutto particolare, arrivato alla sinistra dopo una militanza nella Dc condivisa con persone come Lucio Magri e Mario Melloni, che sarebbe diventato Fortebraccio sulle colonne dell’Unita’. Intellettuale e politico insieme, Chiarante, nei molti ruoli da lui ricoperti in Parlamento, alla guida di Rinascita o nelle responsabilita’ politiche e di partito, ha fatto dei temi della cultura il suo impegno principale con grande passione e competenza. La sua morte mi addolora, esprimo il mio cordoglio ai familiari e a quanti hanno avuto la fortuna di essergli vicino”. Lo affema Walter Veltroni del Pd.
Giuseppe Chiarante: il cordoglio di Chiti
”La scomparsa di Giuseppe Chiarante, a lungo dirigente e parlamentare del Pci, colpisce e addolora. Fu presidente del gruppo del PDS al Senato tra il 1992 e il 1994. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo, non e’ stato solo un importante uomo politico ma esponente di un cattolicesimo moderato ai cui principi non ha mai rinunciato. Desidero esprimere il mio piu’ profondo cordoglio”.
Cosi’ il vice presidente del Senato Vannino Chiti.
CHIARANTE: BERTINOTTI, IN LUI LE MIGLIORI CARATTERISTICHE DEL GRUPPO DIRIGENTE DEL PCI
(AGENPARL) – Roma, 31 lug – Di seguito il testo del telegramma che Fausto Bertinotti ha inviato alla moglie di Giuseppe Chiarante: “Cara Sara, ti sono molto vicino in questo giorno così triste, penso al tuo dolore e non so aiutarti come vorrei. E’ stato molto lungo il cammino che abbiamo fatto insieme a Beppe. Aveva tutte le migliori caratteristiche del gruppo dirigente del PCI che in questo dopoguerra ha fatto crescere un partito di popolo e una comunità straordinaria. Aveva un particolare tratto umano che lo ha reso inconfondibile. Ha testimoniato, nella politica vissuta per cambiare il mondo, una civiltà che dovrebbe costituire ancora un esempio. Anche nella malattia ha fatto valere una dignità che gli abbiamo sinceramente ammirato. Gli abbiamo voluto bene, ci mancherà, non lo dimenticheremo. A te, un abbraccio partecipe e commosso”.
CHIARANTE: FINOCCHIARO, ARRICCHIVA LA POLITICA CON LA SUA CULTURA
(AGENPARL) – Roma, 31 lug – “Con Giuseppe Chiarante se ne va una figura importante della scena politica italiana degli ultimi decenni. Personalità fondamentale nell’epoca feconda dell’incontro tra la tradizione laica di sinistra e quella cattolica, Chiarante ha saputo arricchire il suo impegno nel Pci con la sua umanità, la sua sensibilità e il suo altissimo spessore intellettuale”. “Con moderazione e apertura, in Parlamento e qui in Senato da Presidente del Gruppo del Pds, ha interpretato nel miglior modo quella cultura del dialogo così importante e rara nella nostra politica”.
“Alla moglie e ai familiari giunga il cordoglio mio personale e quello delle senatrici e dei senatori del Pd”.
Lo dichiara Anna Finocchiaro, Presidente dei senatori del Pd.
CHIARANTE: VENDOLA (SEL), MAESTRO DI SOBRIETA’, MORALITA’ E PASSIONE CIVILE
(AGENPARL) – Roma, 31 lug – “La politica che oggi ci appare come sospesa e dispersa ha avuto un tempo uomini probi, colti e popolari, capaci di tenere insieme la limpidezza di una scelta di parte e il rispetto costante dell’avversario. Beppe Chiarante era mosso da una visione laica della storia, sempre distinta dalle ragioni della propria fede”. E’ il commosso ricordo di Giuseppe Chiarante che fa Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Liberta’. “Beppe non ha esitato a rompere antiche appartenenze – prosegue il leader di Sel – quando si e’ trattato di dire no alla guerra. Ha saputo improntare la sua vita nella battaglia delle idee, come mezzo di emancipazione e di riscatto, sempre spinto dal bisogno di dare un senso alle parole della politica affinche’ la sinistra possa percorrere le strade del futuro. E’ stato per me maestro di sobrieta’, moralita’ e di autentica passione civile. A Sara, a tutti i suoi cari, -conclude Vendola – il mio abbraccio pieno di dolore e di memoria, insieme a quello di tutta Sinistra Ecologia Liberta’”.
Fassino: “Cordoglio per la scomparsa di Beppe Chiarante”
Torino – “Scompare con Beppe Chiarante un protagonista della storia della sinistra italiana e del Pci al cui rinnovamento culturale e ideale, al fianco di Enrico Berlinguer, Chiarante ha dato un costante contributo di pensiero e di azione”. Sono state queste le parole del sindaco di Torino, Piero Fassino, esprimendo il suo cordoglio e quello del capoluogo piemontese. Giuseppe Chiarante è scomparso qualche ora fa all’età di 83 anni. Fu per molto tempo dirigente e deputato del Pci.
Chiarante: Orfini (Pd), grande uomo di cultura e dirigente politico
(ASCA) – Roma, 31 lug – ”Siamo vicini alla famiglia di Giuseppe Chiarante scomparso nelle scorse ore. Un grande dirigente politico, un grande uomo di cultura che ricordiamo con affetto. Rammentiamo lo straordinario lavoro svolto in Senato assieme a Giulio Carlo Argan per il nostro patrimonio culturale e l’instancabile opera come vice-presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali che ha condotto sempre con competenza, passione, fermezza e gentilezza. Ci manchera’. E manchera’ al mondo della cultura”, dichiara in una nota Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione del Pd.
Chiarante: Schifani, importante testimonianza di impegno parlamentare
(ASCA) – Roma, 31 lug – ”Desidero esprimere sentimenti di sincero e profondo cordoglio per la scomparsa di Giuseppe Chiarante, una figura che per decenni ha accompagnato la storia del nostro Senato con una presenza attiva e costante nelle Commissioni e nell’Aula”. Cosi’ il Presidente del Senato, Renato Schifani, in un messaggio inviato alla famiglia Chiarante. ”La sua militanza politica, che lo porto’ ai vertici prima del Partito comunista italiano e poi del Partito democratico della sinistra – aggiunge il presidente Schifani – e’ una testimonianza emblematica dell’impegno profuso al servizio delle istituzioni nei passaggi fondamentali della nostra storia parlamentare. Una passione civile alla quale seppe affiancare lo studio attento e personale della storia e della filosofia, assumendo la qualifica di condirettore della rivista Critica Marxista e di direttore del settimanale Rinascita”.
COMUNICATO STAMPA ASSOTECNICI
ASSOTECNICI ricorda con grande affetto e rimpianto Giuseppe Chiarante, fine politico e grande personalità della cultura, vice presidente del Consiglio Superiore dei beni culturali, sempre impegnato nella strenua difesa dei beni culturali. Nel ricordo delle battaglie comuni, ASSOTECNICI si unisce al dolore dei suoi familiari.
Irene Berlingò (Presidente Assotecnici)
www.arsinistra.it
E’ con profondo dolore che annunciamo la perdita dell’amico e compagno Giuseppe Chiarante
Partecipiamo profondamente commossi al dolore di Sara e dei familiari e di quanti l’hanno conosciuto e stimato, Giuseppe Chiarante che fu membro della direzione e della segreteria del Pci, presidente del gruppo senatoriale e della commissione di garanzia del Pds, parlamentare dal 72 al 94, presidente dell’Associazione Bianchi Bandinelli, cofondatore della nuova serie di Critica Marxista e dell’ARS, giornalista e saggista, legislatore illuminato, amico e compagno carissimo.
L’appuntamento per le esequie è per giovedi 2 agosto alle 11 al Tempietto egizio del cimitero del Verano a Roma, in vista della tumulazione nel sacrario del Pci, nello stesso cimitero.
 

Articoli

il manifesto 2012.08.01
Addio a Giuseppe Chiarante Tutta la saggezza e le speranze degli anni ’60
di Rossana Rossanda
Quel che è più triste dell’invecchiare è il perdere gli amici d’una vita. Quelli un poco più anziani di me se ne sono in gran parte andati, e anche diversi più giovani. Fra essi era Giuseppe Chiarante, Beppe, dal bel viso sereno e la voce tranquilla; lo conoscevo da non so quanto, più di mezzo secolo e abbiamo a lungo lavorato insieme, oltre che spartire le corse fuori porta, quando eravamo giovani e vispi settentrionali nella dorata Roma. Era l’amico e sodale di Lucio Magri, i due poco più che ragazzi della sinistra cattolica di Bergamo, negli anni ’50 la città più inquieta della enorme Democrazia cristiana. Erano una fronda, facevano insieme “il ribelle e il conformista”, avevano finito con l’iscriversi al Pci, assieme ai grandi, i deputati Mario Melloni, Fortebraccio, e Ugo Bartesaghi. Non erano soli, altri ne condividevano molte idee senza però fare il salto. E non potevano essere più diversi nel carattere: quanto Lucio era prometeico, asseverativo, ostinato, tanto Beppe era prudente, pur nell’autonomia delle scelte, dialogante, aperto anche al dubbio. Lucio aveva le qualità del capo, Beppe quelle del saggio. Negli anni ’60, quando fui chiamata a Roma per dirigere la sezione culturale in via Botteghe Oscure, Beppe ne fu incaricato come me e con me rimase finché fui allontanata, prezioso nel lavoro e nei rapporti, coltissimo, leale. Dei ’60 condividemmo le speranze, cui il partito credeva di meno. Non so quanto contasse in lui l’essere cattolico, il suo riserbo non mi permetteva domande, ma la questione fra comunisti e cattolici gli stava molto a cuore, alimentata da quel Concilio Vaticano II che sembrò aprire tutte le strade e che i pontefici successivi a Giovanni XXIII chiusero, lentamente, forse senza una precisa intenzione Montini, con una accelerazione Karol Woytjla e non senza brutalità Ratzinger. L’incontro fra le due culture non doveva essere quello fra Dc e Pci, ma proprio fra una ispirazione di fondo che parve privilegiare i valori invece che i consumi, i “fondamentali” invece che le manovre. Ma anche una comune avversione a quello che il Pci chiamava, con la scusa di Gramsci, economicismo, in chiunque si occupava di più del capitale – la famosa struttura – che delle vicende politiche, l’altrettanto famosa sovrastruttura. Su questo d’altronde Enrico Berlinguer avrebbe tentato negli anni ’70 quel compromesso storico che non funzionò. Nei ’70 il Pci era già meno comunista e la Dc meno cristiana di quanto fossero venti anni prima. Alla commissione culturale facemmo due convegni nei quali l’apporto di Chiarante fu decisivo: uno sulla famiglia, che contribuì alla fama di eterodossia che presto ci avvolse – eravamo antifamilisti e anticlericali – per cui Nilde Jotti e Emilio Sereni ci criticarono assai, e uno sulla scuola, sulla scia di quel Convegno sulle tendenze del capitalismo italiano che era stato organizzato dall’Istituto Gramsci nel 1962 e segna una prima linea, se non di rottura, di divisione nell’analisi che il partito faceva sulla situazione. Pur pensando in gran parte come noi, Chiarante non ci seguì nella vicenda del manifesto: e non per mancanza di coraggio ma per la persuasione che non sarebbe bastata una forza minoritaria a produrre in Italia un cambiamento. La sua posizione fu dunque non poco scomoda, perché restò nel Pci ma votando, assieme a pochi altri, contro la nostra radiazione. E del Pci seguì le sorti agitate, alleandosi con la mozione del “no” sulla svolta, negli anni turbolenti che seguirono l’89. Sperò anche lui in una presa di posizione fondamentale che si sarebbe dovuta prendere alla riunione di Arco e non fu presa. Da allora il Pci venne via via perdendo molti compagni, non occhettiani né dalemiani, ma neppure in consonanza con Rifondazione. Con Aldo Tortorella salvò dall’estinzione Critica marxista, che ha diretto assieme a lui assieme alla Associazione per il rinnovamento della sinistra, che opera tuttora cercando di riunificarne gli spezzoni non su proposte politiche estemporanee a breve, ma su un filone culturale ed etico, per la cui mancanza il Pci e poi il Pds avrebbero cessato di esistere. La confusione che seguiva nell’ex Pci ad ogni cambiamento di nome, impedì al partito di compiere ogni sforzo per trattenere loro, ma prima Ingrao, poi Bertinotti, e poi altri ancora, senza rendersi conto che stava perdendo l’essenziale del suo patrimonio politico ed umano.
Quando decidemmo come manifesto di riprendere una nuova serie del mensile sul quale eravamo nati, Chiarante lavorò con noi. E parallelamente scriveva, oltre che su Critica marxista, i tre volumi di storia del Pci (La fine del Pci. Dall’alternativa democratica di Berlinguer all’ultimo Congresso 1979-1991, del 2009, Con Togliatti e con Berlinguer. Dal tramonto del centrismo al compromesso storico 1958-1975 del 2007 e Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cinquanta del 2006), tutti pubblicati dall’editore Carocci, che sono una miniera di dati. Nel confronto con Il sarto di Ulm di Lucio Magri si vede la differenza dei caratteri: Magri è sempre sui limiti di quel che il Pci avrebbe potuto fare, Chiarante si attiene a una documentazione e testimonianza niente affatto asettica, appena un po’ meno spietata. Oltre a questo, Beppe sperò a lungo come senatore che fosse perseguibile una difesa coerente del patrimonio culturale del paese, preceduto dalla compagna della sua esistenza, Sara Staccioli. Li vedevo assieme anche alle grandi esposizioni di Parigi, finché le condizioni di salute gli permisero di vedere: la perdita della vista fu, fra i mali che lo hanno assalito da anni, quello che lo tormentava di più. L’ho visto per l’ultima volta alcuni mesi fa, con l’indomita Sara che lo portava a un concerto all’Auditorium; era come sempre affettuoso ma stanco, molto.
Addio, caro Beppe, compagno ed amico. Il mio universo non è più lo stesso, ne guardo l’orizzonte e troppe sono le assenze.
 
il Manifesto 2012.08.01
Addio a Giuseppe Chiarante passione, cultura, intelligenza
Beppe Chiarante ci ha lasciati. Era il giorno del suo ottantatreesimo compleanno. Beppe aveva avuto fino alla nostra rottura del manifesto lo stesso percorso di Lucio Magri, di cui si può dire che sia stato fratello.
di Luciana Castellina
Ieri notte Beppe Chiarante ci ha lasciati. Era il giorno del suo ottantatreesimo compleanno, nove giorni più vecchio di me e infatti celebravamo spesso assieme l’anniversario: da circa sessant’anni, ché tanti sono quelli della nostra strettissima amicizia. Beppe aveva avuto fino alla nostra rottura del manifesto lo stesso percorso di Lucio Magri, di cui si può dire che sia stato fratello. Nati e cresciuti nella stessa città, Bergamo, ambedue entrati nei Gruppi giovanili Dc, perché in quella provincia bianchissima (a meno di non vivere nella fabbrica ed essere uno straordinario, precoce e però isolatissimo operaio come il nostro Eliseo Milani) la politica lasciava solo la scelta fra le correnti di quel partito. Quella di Beppe e Lucio fu la scelta della sinistra dossettiana, la cosa più a sinistra che lì si potesse incontrare. Ma i Gruppi giovanili andarono parecchio oltre nella loro critica anticapitalista, tanto che Fanfani, alla vigilia del congresso di Napoli del ’54, sciolse l’esecutivo dell’organizzazione e poi cacciò Beppe dal Consiglio nazionale del partito cui, molto precocemente, era stato nel frattempo promosso. Ma una parte consistente di loro non abdicò e dette vita ad una serie di pubblicazioni di cui Beppe fu, con Lucio, uno dei principali animatori: Il ribelle e il conformista, diretto da un altro bergamasco (e in seguito colonna de il manifesto), Carlo Leidi, e Prospettive, in cui ritroviamo le firme dei tanti che poi approdarono alle fila comuniste: Baduel, Guerzoni, Asperti… Ricordo questa vicenda non solo perché è fondante dell’itinerario politico di Chiarante, ma perché è un pezzo di storia italiana di cui poco si è scritto e che è stata invece di grande interesse. Lo stesso travaglio dei Gruppi giovanili della Dc fu infatti vissuto negli stessi anni dalla ben più corposa Giac, la Gioventù di Azione cattolica, i cui due presidenti, difronte al viscerale anticomunismo di Gedda e alla realtà democristiana, preferirono la via di un esule sacerdozio. La Fgci – ma anche il Pci – capì poco e tardò ad offrire una sponda. Da ponte, loro ormai fuori dalla Dc, funzionò il Dibattito politico di Franco Rodano, una rivista di cui Beppe fu per un periodo anche vicedirettore. Era nata per raccogliere i cattolici di sinistra e diventò invece – di fatto – una voce nuova e più di sinistra rispetto alla linea ufficiale del Pci. Poi ci fu l’ingresso nel partito, di cui Beppe sperimentò tutti i livelli: vicedirettore de Il Paese, dove lavorammo assieme all’inizio degli anni ’60, poi con Rossana alla cultura, quindi con Tortorella, direttore di Critica marxista, di Rinascita, nella direzione e alla fine nella segreteria del Pci, nella seconda fase berlingueriana. Non c’è stato mai, io credo, un vero dissidio politico fra noi che abbiamo scelto di dar vita al manifesto e Beppe, ma forse una differenza di carattere che ci ha portato a compiere scelte difformi: lui era prudente e paziente, noi no. Giudicò allora il nostro un errore tattico. Ma non perché Beppe fosse un moderato: i suoi tantissimi scritti testimoniano la radicalità del suo pensiero. Quando nacque il Pds in quel nuovo partito resse poco: ne uscì con Aldo Tortorella in occasione della guerra alla Jugoslavia e con lui dette vita all’Ars, l’Associazione per il rinnovamento della Sinistra. Ci ha lasciato la più lucida e completa analisi del dopoguerra in Tra De Gasperi e Togliatti; Da Togliatti a D’Alema; Con Togliatti e Berlinguer; Italia ’95, la democrazia difficile; La fine del Pci. Ai tanti di noi che l’hanno avuto per amico e compagno mancherà moltissimo la sua straordinaria intelligenza, il suo equilibrio, la sua cultura. Anche la sua passione, celata dietro il suo carattere schivo. Io non so più a chi potrò andare a chiedere consiglio. Sua moglie Sara è stata bravissima: sembrava fragile, è stata fortissima nell’aiutarlo a vivere in questi anni in cui la malattia l’ha attaccato. Le siamo vicini, come manifesto, il giornale cui aveva finito per collaborare spesso.
 
L’Unità
Giuseppe Chiarante, la forza gentile del Partito comunista
Il ricordo. I suoi temi furono la pace, la scuola e la cultura per una sinistra del futuro
di Aldo Tortorella
Scrivere della scomparsa di un amico e compagno carissimo, con cui ho condiviso scelte e lotte politiche per un quarantennio, è cosa assai dolorosa e difficile. Incominciammo a lavorare insieme quando assunsi la responsabilità della sezione culturale ed egli si occupava della scuola. E la comune visione di quel che dovesse e potesse essere la sinistra ci ha portato, insieme, sino ad ieri. Ci separavano pochi anni, quello che bastava perché lui non potesse partecipare alla Resistenza e vivere quella esperienza che portò parecchi di noi, allora studenti, alla adesione al Pci. Chiarante seguì una strada completamente diversa, che diverrà esemplare di coraggio politico e di forza morale. Partecipe del mondo cattolico, iniziò il suo percorso nel movimento giovanile della Democrazia cristiana, di cui divenne rapidamente uno dei massimi dirigenti, schierato con la sinistra di Giuseppe Dossetti, uno dei principali estensori della Costituzione repubblicana. Protagonista nel 1953 della fondazione della corrente di Base, che raccolse l’eredità di Dossetti fattosi sacerdote, venne eletto, poco più che ventenne, nel consiglio nazionale della Dc al congresso del 54 che vide l’affermazione di Amintore Fanfani. Erano, quelli, gli anni più aspri della guerra fredda. La contrapposizione tra i blocchi, e il monopolio statunitense dell’arma atomica, faceva temere la possibilità di una nuova catastrofica guerra. Chiarante, con altri esponenti di parte cattolica e molti intellettuali indipendenti di ogni parte d’Europa, decise di partecipare come osservatore al congresso costitutivo del movimento internazionale dei «partigiani della pace», subito bollato come filosovietico. Ne nacque una dura polemica con Fanfani, culminata con il rifiuto dell’autocritica e con l’espulsione. Da allora si fece più stretto l’incontro di Chiarante – e del gruppo che faceva capo a lui e a Lucio Magri – con le posizioni dei comunisti cattolici di Franco Rodano, con cui fondò la combattiva rivista «Il dibattito politico». Quell’incontro sfociò, poi, nella adesione al Pci. Chiarante, come giornalista, era, intanto, divenuto vice direttore di Paese sera, quotidiano progressista indipendente di ampia diffusione. Nella discussione interna al partito, egli portò le posizioni di chi, pur condividendo pienamente la scelta democratica e gradualista di Togliatti, sottolineava la necessità di marcare le esigenze riformatrici e trasformatrici, particolarmente dopo il superamento dell’arretratezza e l’avvenuta trasformazione dell’Italia in un Paese industriale avanzato. La discussione divenne più acuta dopo la scomparsa di Togliatti – con cui Chiarante si era già misurato sulle colonne di Nuovi Argomenti – quando si incominciò ad intravedere che venivano maturando tempi nuovi e temi fino a quel momento sconosciuti. Si era alla vigilia del 68, e dei mutamenti ma anche delle involuzioni di quel moto che fu, in Italia, giovanile e operaio. Chiarante fu allora con i compagni che sentivano il fascino delle posizioni di Ingrao, ma non parteciparono poi alla esperienza del Manifesto, pur rifiutandone la radiazione avvenuta sulla base di uno statuto che cambierà troppo tardi. La differenza di opinioni non impediva però, allora, la assunzione di responsabilità rilevantissime. Chiarante fu responsabile della politica per la scuola, e poi delle politiche per la cultura, e direttore di Rinascita, la rivista settimanale edita dal partito: ovunque portando il peso della sua personalità pacata e ferma, come la sua scrittura. Il primato della scuola, della ricerca, della cultura per un Paese che voglia dirsi moderno e avanzato ebbero in Chiarante un interprete rigoroso e creativo. E la legislazione italiana per la difesa del nostro patrimonio culturale gli deve molto. Ma proprio perciò egli, come accadde a me e ad altri, temette, nel momento in cui fu proposto il mutamento del Pci in altro da sé, la dispersione di una comunità e di un grande patrimonio che non era solo di memorie e di sentimenti pur cari, ma di elaborazioni concrete e precise, perfettibili certamente, ma non così povere da dover rincominciare da zero. Non comprendevamo l’ansia di tagliare le proprie radici che non erano le medesime di quelle che avevano prodotto frutti avvelenati, anche se capivamo il bisogno di rinnovamento di una nuova generazione. Perciò non volemmo la scissione. E Chiarante assunse, anzi, quale esponente della minoranza congressuale, la responsabilità del gruppo senatoriale e della commissione di garanzia del nuovo partito reggendole entrambe con grande capacità e lealtà. Parve a lui, e a me, che la nostra storia di partito dovesse concludersi con il bombardamento di Belgrado. Eravamo nel ‘98. Non ci convinceva la lacerazione tra le due sinistre, tema che oggi si ripropone, e perciò, assieme ad altri, partecipammo alla costruzione di una associazione per il rinnovamento e per l’unità della sinistra, di cui Chiarante è stato animatore determinante. Egli ha riassunto la sua storia, che è gran parte della storia del dibattito nel gruppo dirigente del Pci tra il ‘60 e il ‘90 in due densi volumi. Chi li legge può vedere non solo quante realtà egli avesse visto in anticipo. Ma quanta fermezza e coerenza vi sia stata nella sua volontà di una sinistra veramente nuova e aperta al futuro. Ciò che non si può leggere è che persona squisita fosse, quanta forza trasmetteva la sua serena coscienza, mai esibita. Anche per questo rimarrà non solo nei suoi scritti ma nell’animo di chiunque l’abbia conosciuto.
 
Riportiamo anche il testo dell’orazione funebre di Aldo Tortorella
Quando ci lascia un compagno come Chiarante che ha speso la vita intera per un’idea, il dolore deve far posto al dovere di capire ciò che ci ha insegnato e ciò che lascia a ciascuno e a tutti. Verrà il tempo per riflettere a fondo sull’opera sua, ma già ora, salutandolo, dobbiamo per prima cosa ricordare la forza e l’acutezza del suo pensiero. All’origine vi fu non solo la visione dossettiana di una politica che sfidava i comunisti di allora in nome di un messaggio evangelico radicalmente vissuto, ma la scuola del razionalismo critico di Antonio Banfi, di cui Chiarante fu uno degli ultimi allievi. Quella scuola abituava allo sforzo permanente per “la scoperta della realtà”- come recita l’ultimo volume del nostro comune maestro – e dunque spronava al rifiuto di ogni forma di dogmaticità. Il marxismo, in questa lezione, non era inteso come una filosofia o una scienza ma come un sapere pratico e come la forma della coscienza di una nuova classe. E’ da questa complessa formazione che viene la sostanza morale della politica per Chiarante. Giovanissimo, egli era già assai avanti nel cammino che poteva portarlo – come avvenne per alcuni suoi giovani collaboratori di allora – alle più alte funzioni nella direzione dello stato. Ma era per lui inaccettabile una politica come mera gara per il potere. E per la sua cultura era senza senso una politica che non unisse il valore della libertà, per cui aveva compiuto la sua prima scelta, a quello della giustizia e della pace. Fummo veramente, dopo l’inizio della guerra fredda, sull’orlo di un nuovo spaventoso conflitto. La prima rottura di Chiarante fu per affermare la necessità di quella politica di pace che si attuerà molti anni dopo, e dopo molte guerre e sofferenze, nel processo di distensione internazionale. E quando si avvicina e poi entra nel partito comunista costruito da Togliatti quale soggetto di una democrazia pluralistica, egli vede per tempo il pericolo che la scelta della legittimazione democratica può essere snaturata in una pura e semplice accettazione dell’assetto sociale dato e nell’accondiscendenza verso il senso comune intriso di conservatorismo, come provano emblematicamente la polemica sulla necessità di pensare a un nuovo tipo di sviluppo alla metà degli anni sessanta o la discussione per un rinnovamento nella concezione della famiglia richiamata ieri da Rossana in un suo articolo sul Manifesto. Ciò che lo distinse, però, da altri compagni che gli furono vicini, non fu solo o tanto la prudenza, che non è tuttavia una dote superflua per un politico, ma l’impazienza, e dunque lo scarto, verso posizioni che non fossero il risultato di analisi fattualmente e concettualmente fondate, che potessero apparire come appagamenti consolatorii della coscienza piuttosto che come conquiste progettuali e di principio. E per questi, per la necessità di principii criticamente elaborati e concretamente vissuti, Chiarante ha lavorato sino alla fine. Era difficile e quasi impossibile vedere irato Chiarante. Non dimenticherò mai dunque il suo viso al termine della prima riunione della direzione del Pci in cui venne proposto la metamorfosi del partito e la frase icastica, lui cosi pacato e disteso ragionatore, che mi disse: “Io non ci sto a buttare tutto a mare”. Ma per non buttare tutto a mare era inutile, e anzi dannosa, ogni contemplazione del tempo passato, occorreva, e occorre, una fatica inaudita, che ci trovò ancora più uniti di quanto non fossimo stati nella sezione culturale del vecchio partito, nella direzione , nell’ultima segreteria di Berlinguer e poi di Natta. Bisognava capire bene quali tra le fondamenta avevano ceduto e accingersi non a rabberciarle ma a costruire fondamenta nuove che dessero sostanza all’idea di trasformazione sociale, ormai inconcepibile senza rivalutarne e riscriverne le ragioni etiche, le uniche che possono giustificare la politica o, se negate, distruggerla. Il primato della scuola come introduzione alla vita della cultura e della cultura come ragione di una vita umana sono state il primo contributo di Chiarante a questa idea di una possibile costruzione nuova, insieme al ripensamento della idea di democrazia secondo il progetto della costituzione italiana, tradito dalle forze conservatrici e considerato inattuale o, peggio, abbandonato, da parti della sinistra italiana. Ma la forza e il coraggio politico e umano di Beppe non sarebbero stati i medesimi senza la forza, il coraggio e la cultura di Sara, cui va tutto il nostro affetto. Ciao, caro Beppe, tu sarai sempre con noi.
 
Europa
Ciao Beppe, compagno Dc
di Gerardo Bianco
Erano anni di grande fermento culturale e politico quelli nei quali incontrai Giuseppe Chiarante, e con lui Lucio Magri, Ugo Baduel, Franco Boiardi. Un esigente gruppo di giovani che insieme imboccarono poi un diverso percorso dopo una vivace militanza nel Movimento giovanile della Democrazia cristiana. Noi dell’università cattolica di Milano, ancora impegnati negli studi, seguivamo con grande interesse il fervore che animava la rivista del movimento Per l’Azione, guidata da Franco Maria Malfatti, che si apriva ad autori e libri di diverso orientamento culturale e politico. Si era alla ricerca di nuove aggregazioni dopo il ritiro di Giuseppe Dossetti dalla vita politica. La sinistra democristiana, alla quale Chiarante apparteneva, andava elaborando ipotesi di assetto politico più avanzato dopo la crisi del centrismo che l’esito delle elezioni politiche del 1953 aveva reso manifesto. Le soluzioni prospettate da Iniziativa democratica, la corrente che si proponeva come erede del dossettismo, apparivano ambigue e insufficienti. Bisognava andare oltre con scelte più nette e coraggiose sia sul piano politico, sia sul piano sociale. È in questo contesto di idee condivise che ci trovammo insieme nella corrente di Base, promossa da Giovanni Marcora, da Giovanni Galloni e Luigi Granelli, con Giuseppe Chiarante. Egli apparteneva appunto al gruppo bergamasco, ed era un esponente politico già di spicco, consigliere nazionale della Democrazia cristiana. È vivo il ricordo delle nostre interminabili conversazioni, delle sue penetranti analisi della società italiana, che egli immaginava di dover modificare in profondità, con le mie obiezioni sull’esigenza di procedere per gradi, operando soprattutto sul Psi. Dietro quel suo volto gentile, con la testa leggermente reclinata, si celava uno spirito acuto e intransigente che esplose quando ritenne irrimediabile la deriva della gestione fanfaniana della Dc, che Chiarante riteneva inconciliabile con la sua visione di rinnovamento radicale del nostro sistema economico, sociale e culturale. Esso non poteva realizzarsi, a suo parere, senza un coinvolgimento del Pci. Su di lui forte era l’influenza di un pensatore rigoroso come Franco Rodano, non immune da tendenze organiciste, che determinò anche la svolta marxista ancora estranea al momento in cui con Lucio Magri si dette vita ad una rivista effimera per il tempo durato, ma non insignificante, dal titolo: Il ribelle e il conformista. Il distacco di Beppe Chiarante dalle nostre battaglie per l’allargamento dell’area democratica e per l’apertura al Psi, proprio quando si stava preparando la svolta, suscitò in tutti noi sconcerto e non poca amarezza. Ma il dialogo non si interruppe, e continuò anche sul settimanale fondato con Lucio Magri: Il dibattito politico. Chiarante era un uomo di pensiero e di vasta cultura, e ha ripercorso con alcuni libri la sua storia personale e quella del Pci, al quale aveva aderito e che, coerentemente, rifiutò di archiviare. Ma una spia delle ragioni del suo distacco dalla Dc mi sembra di rintracciarla in un notevole saggio sul cinquantenario della morte di Alcide De Gasperi che egli aveva personalmente conosciuto. È questo un documento esemplare della levatura politica di Giuseppe Chiarante. Con lui scompare, come ha ben sottolineato il presidente Napolitano, anche la figura di un raffinato umanista che sentì forte l’afflato morale della politica, proprio come ai primi tempi del suo noviziato, quando ci ritrovammo dalla stessa parte politica, con le stesse speranze e gli stessi ideali.
http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/136361/ciao_beppe_compagno_dc
 
FLC CGIL
La scuola italiana piange Giuseppe Chiarante
Tra il 1960 e il 1990 fu tra gli ispiratori della politica scolastica del PCI e tra i padri del modello unitario del biennio iniziale della secondaria superiore.
È deceduto ieri, proprio nel giorno del suo 83° compleanno, Giuseppe Chiarante. Attivo nella sinistra cattolica negli anni del dopoguerra, lasciò la DC nel 1955, praticamente destituito nelle sue cariche all’interno dell’organizzazione giovanile democristiana da Fanfani, che vedeva in quel gruppo di giovani dossettiani (di cui facevano parte anche Lucio Magri, Ugo Bartezzaghi e il futuro corsivista de l’Unità Fortebraccio, al secolo Mario Melloni) un pericoloso nido di rivoluzionari filocomunisti, e si iscrisse al PCI nel 1958, in un periodo in cui, dopo l’Ungheria e il XX Congresso del PCUS, era più frequente uscire che entrarvi, soprattutto per dei giovani di formazione cattolica. Più volte parlamentare nel PCI e poi nel PDS, lavorò soprattutto alla sezione economica e fu anche direttore di Rinascita e di Critica Marxista. Naturalmente sensibile alla questione del rapporto con i cattolici fu noto anche per le sue posizioni non conformiste che si espressero nel voto contro la radiazione del gruppo del Manifesto (col quale, una volta stemperate le polemiche, riprese a collaborare), nella resistenza al cambiamento del nome del partito dopo la Bolognina ed infine nel dissenso verso l’appoggio dato dal PDS alla guerra in Kosovo. Quest’ultima scelta lo portò ad abbandonare il PDS per impegnarsi nell’Associazione per la Rinascita della Sinistra insieme ad Aldo Tortorella. Ci piace ricordarlo soprattutto per il suo impegno nel campo delle politiche scolastiche: dal convegno sulla scuola del PCI nel 1972 al disegno di legge del PCI sulla riforma della secondaria superiore del 1987, Giuseppe Chiarante fu, se non il padre, uno dei padri del biennio iniziale unitario della secondaria superiore come ambito di sviluppo dell’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni, modello che ispirò gran parte delle sperimentazioni sia autonome che ministeriali (Brocca, Progetto 92), nonché le parziali riforme degli ordinamenti degli anni novanta (poi tradite dai ministeri berlusconiani), e che resta un caposaldo della nostra idea di scuola secondaria superiore anche con l’obiettivo dell’innalzamento dell’obbligo a 18 anni.
http://www.flcgil.it/scuola/la-scuola-italiana-piange-giuseppe-chiarante.flc
 
Esuscuola.eu
Ricordo di Giuseppe Chiarante
di Maurizio Tiriticco
Con Giuseppe Chiarante ho avuto un’ottima frequentazione quando coordinava la sezione scuola del Pci. Erano gli anni Settanta e dovevamo correggere tutta una serie di “errori” che riguardavano il difficile avvio e poi la difficile tenuta della scuola dell’obbligo ottonnale! E non fu un caso che giungemmo a quella legge 517 del ’77 con cui avviammo un processo valutativo tutto nuovo (cancellammo voti e pagelle e li sostituimmo con giudizi e schede). Ma le attenzioni maggiori in quegli anni erano per la riforma della scuola secondaria: i “dieci punti di Frascati”, varati nel 1970 in un convegno internazionale organizzato dal Cede diretto allora da Aldo Visalberghi, costituivano una piattaforma di discussione e di elaborazione molto intensa. Erano gli anni della programmazione educativa e didattica e delle prime sperimentazioni. Chiarante e Raffaele Sciorilli Borrelli, che coordinava la sezione, mi affidarono il compito di stendere un documento sulla sperimentazione (la norma, l’esistente, il possibile, il contrasto delle “sperimentazioni selvagge”), documento che poi discutemmo e che fu anche apprezzato. E meritai un viaggio… “premio”!!! Era il 1978, se non erro! Eravamo attenti a quanto accadeva nelle scuole europee (l’allora Cee aveva il limite di occuparsi solo di formazione professionale) e anche in quelle dei Paesi “socialisti” di oltre cortina. L’Ungheria presentava una situazione interessante per quanto riguardava sia l’istruzione tecnica che quella liceale, su cui da sempre c’era un certo appeal; ed era allora uno dei Paesi meno conformisti rispetto alla pervasività dell’Unione Sovietica. La delegazione era diretta da Chiarante e ne facevano parte tra gli altri, io, Vincenzo Magni, Roberto Maragliano, Andrea Margheri. Avemmo incontri ad alto livello istituzionale (il ministro in persona e alcuni specialisti del settore educativo) e poi visitammo aziende (sul versante della esperienze che potremmo chiamare di scuola-lavoro) e più scuole dei diversi ordini. Molto interessante fu la visita al liceo Szent Làszlò, di Budapest, molto famoso perché era ed è attiva una classe bilingue italo-ungherese. L’accoglienza fu addirittura festosa! Parlare in italiano con italiani per quelle studentesse (non ricordo quanti fossero i maschietti) fu una cosa eccezionale! E declamare Paolo e Francesca all’unisono, noi e loro, fu una cosa veramente eccezionale e commovente. Di quel viaggio discutemmo poi a lungo al nostro ritorno e ne facemmo un bilancio più che positivo. La mia frequentazione con la sezione scuola continuò fino a quando Chiarante passò ad altri impegni e la sezione passò ad Occhetto. E poi un breve percorso accidentato fino alla Bolognina e Chiarante dichiarò il suo profondo dissenso contro la scelta di cambiare nome al partito. Io fui con lui. E ancora mi chiedo: a che pro quella scelta? Ma questo è un altro discorso che con Giuseppe non potrò più fare!
http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=11293
 
Articolo 21
Giuseppe Chiarante o della moralità politica
di Gennaro Lopez
Parlare di “moralità politica” potrebbe sembrare un paradosso, una sorta di ossimoro, eppure la vicenda biografica di alcuni personaggi della sinistra italiana sembra tale da andare oltre quel paradosso, quell’ossimoro e testimoniare, invece, la praticabilità di un rapporto positivo tra morale e politica. Uno di questi personaggi (e tra i più illustri), Giuseppe Chiarante, ci ha lasciati nelle ultime ore. L’etica della responsabilità, che consiste anche nel saper essere coerenti con se stessi e con le proprie idee, segna fin dall’inizio il percorso politico di Chiarante, quando, lui “dossettiano” e con altri fondatore della corrente di “Base”, rompe con la DC di Amintore Fanfani per accostarsi a quel PCI, in cui il dibattito teorico sui rapporti tra comunismo e cattolicesimo, già vivo negli anni pre-Concilio Vaticano II anche per effetto di una politica togliattiana tesa a favorire l’incontro tra masse comuniste, socialiste e cattoliche, troverà nuovo impulso col pontificato di Giovanni XXIII. In quel contesto, il punto di riferimento non poteva non essere Franco Rodano, insieme col quale Chiarante fonderà la rivista “Il dibattito politico”. Nel PCI di Enrico Berlinguer fece parte della segreteria nazionale e fu tra i massimi interpreti della strategia e della politica del “compromesso storico”, contribuendo, anche nella veste di direttore del settimanale “Rinascita”, ad elaborare le basi teoriche sulle quali quella strategia e quella politica si sarebbero dovute sviluppare. Ma una vera e propria “stella polare” nell’impegno politico di Giuseppe Chiarante è stata la Costituzione della Repubblica, il cui profondo e originale valore democratico ha costituito per lunghi anni il motivo delle sue lotte e del suo lavoro di dirigente del partito e di parlamentare. Come responsabile delle politiche per la scuola e, successivamente, di quelle per la cultura è stato protagonista di stagioni e di battaglie memorabili per una scuola pubblica democratica e laica, per la difesa e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano, inteso questo nel suo significato più ampio e profondo. Venne, poi, il “dopo ‘89”, con la svolta occhettiana ed il superamento del PCI. A quella svolta, pur senza aderire a scelte scissioniste, Chiarante si oppose con ferma determinazione: non certo in nome di richiami nostalgici, che non erano affatto nelle sue corde, ma perché contestava l’improvvisazione e la superficialità di quella svolta. Ancora una volta, a distanza di quasi quarant’anni dalla rottura giovanile con la DC, di fronte ad una contingenza drammatica, Giuseppe Chiarante faceva prevalere su ogni altra considerazione la sua concezione severa della politica: il ragionamento pacato, ma stringente; il rigore dell’analisi; la coerenza delle scelte. Ecco, in questo sta l’eredità più preziosa che ci lascia Giuseppe Chiarante, testimone e protagonista di una singolarissima e originale storia di tanta parte della sinistra italiana dal secondo dopoguerra a tutti gli anni ’80: etica e politica non necessariamente configgono; anzi, farle camminare a braccetto può rappresentare quasi una rivoluzione.

Giuseppe Chiarante o della moralità politica

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